mercoledì 2 febbraio 2011

Se non ci fosse bisognerebbe inventarla

Kubica.

100 all'ora. La velocità del vincente.

La cinghia.

Le chiavi buttate nel cassonetto.

Le porte dimenticate completamente spalancate.

Le scarpe invernali che schiacciavano due pedali insieme.

"Perché quando sarai un giornalista importante, allora avrai una macchina importante e tutte quelle cose lì, vedrai..." Un grande mister.

Il piloncino del passaggio a livello dell'Itis.

La trasferta del Mantova a Piacenza.

"Vedervi arrivare messi così, con quella macchina lì, sembrate due pericolosi". Un amico.

Il volante che pendeva leggermente a destra.

I bozzi che non si capiva mai da dove uscissero.

Il rumore di ferraglia nel chiudere lo sportello.

Lo specchietto destro: unico optional. Ma optional.

Quando si accendeva a tre anziché quattro.

Il colore da guardia forestale.

Non potevamo prenderla bianca da ente pubblico. Rossa ce n'erano milioni. E nera, suvvia che c'azzeccava?

"Hai preso su l'acqua?"

L'ho odiata, disprezzata, amata.

venerdì 21 gennaio 2011

Sono le 2.31 di un giorno come tanti altri. Non ho ben chiaro perché sono tornato a scrivere su un blog che, ormai è acclarato, non riesco a tenere. Probabilmente solo per fissare dei pensieri che vorticosamente si rincorrono nella mia testa.

Forse perché mi sono detto "dai, va a dormire che lo scrivi domani" e invece stavolta voglio proprio fregarmi perché so bene che domani non mi ricorderei cosa voglio fermare con questa tastiera.

Non sono pensieri che cambieranno il mondo, ma li voglio mettere nero su bianco, poco importa che non li leggerà nessuno. Sono per me.

E penso all'Italia stanca in cui mi trovo. Alla foga con cui ho letto Repubblica e Corriere. Di vicende che sembrano il peggiore dei romanzi. L'incubo di uno Stato in cui non avrei mai voluto nascere. Il fondo che si sta continuando a scavare da anni. E così faccio i collegamenti tra le varie fasi, le varie battute pietose ascoltate in questi freddi inverni e in queste torride estati. Da "ragazza tu che sei carina invece che un lavoro trovati un uomo ricco" in giù. E rabbrividisco. Feste, festini, sesso, soldi, dignità, pudore, rabbia, bugie, falsità, verità, intercettazioni.

Che idea di Paese è passata? Non sono stato tanto all'estero in vita mia. Ma una volta ci sono rimasto a sufficienza per captare come era vista l'Italia dal resto del mondo con questo presidente del Consiglio. Era il 2003 e già tutti ci consideravano come gli zimbelli del pianeta. Ora non oso immaginare quale sia il giudizio. Eppure è l'ultimo dei problemi.

Quelli grandi sono i figli che spero presto di avere. Sì, perché è vero che le attuali giovani generazioni sono in difficoltà, materiale e spirituale, ma come cresceranno quelle dopo di loro? Come si potranno educare ad un mondo diverso? Sono domande che mi angosciano. Basterà il mio contributo per far loro capire ciò che è giusto e ciò che è sbagliato? Sarà sufficiente a proteggerli dagli input esterni, che tolgono valore a tutto?

E' un'Italia in cui si è persa la dignità al vertice. Come sarà triste spegnere quelle 150 candeline il 17 marzo. Come sarà avvilente vedere persone sì poco degne darsi un tono e fare discorsi alti. Il tutto in un Paese allo sfascio in cui il tragitto Milano-Mantova in treno non ha un orario definito e in un disgraziato venerdì di gennaio possono servire anche 3 ore e 10 minuti in più delle 2 e 45 necessarie. Un Paese che non garantisce più nulla ai suoi lavoratori. Che ha fatto di "merito" un sinonimo di "utopia". Che ha spento la qualità con l'opportunità.

Chissà da lassù cosa pensa chi per questa Italia ha dato la vita. Chi si è impegnato per renderla onorevole. Chi l'ha resa grande in passato. "Che Italia c'ha goma..." ha ben sintetizzato mia nonna. Accertandosi che mio fratello, alla fine, quel viaggio Milano-Mantova l'abbia completato.

Un'Italia stanca, che si trascina. In cui sembra impossibile che tutto comunque riesca ad andare avanti. Questo è il vero miracolo italiano. Andare avanti ogni giorno. Poter pensare a dei progetti. A una casa da costruire. Una famiglia da formare. Un sogno da realizzare. Nonostante tutto quello che succede là fuori. Nonostante ciò che ci circonda. Nonostante lo sfacelo che fornisce definizioni sempre nuove di "peggio".

E penso ancora alla Tunisia. Alla forza dei popoli. Quella che noi abbiamo perso. Leggo anche di quello nel mio viaggio all'interno di un fast food di notizie inghiottite prima di mettermi a dormire. Sono le 2.48. Stavolta mi sono fregato e ho scritto quello che pensavo. Non è bello come lo immaginavo. E' sempre troppo democristiano, anche. Ma almeno stavolta c'è.